1 giu 2020

COME VEDERE I COLORI

PRE o POST-FAZIONE 

“Quanto di seguito sto per esporre è rivolto a quei pochi che in vita loro a qualsiasi titolo e grado hanno voluto occuparsene”. Queste erano le parole con cui s'apriva un vecchio diario casualmente ritrovato, come in uno di quei romanzi un bel po' stucchevoli in voga il secolo scorso, in una soffitta buia e umida, o forse in una cantina che lo era ancora di più. E curiosamente (ma, in fondo, non troppo) erano anche le uniche (parole) rimaste leggibili all’aggressione degli eventi atmosferici e dalle intemperie e intemperanze della storia - cioè delle vicende di una persona. A chi fosse appartenuto era impossibile risalire dato che le restanti cento e passa pagine che lo componevano presentavano nient’altro che macchie e qui e lì il fantasma di qualche linea tracciata a penna o lapis. Della copertina ne era privo fatta eccezione di due stretti brandelli lungo il dorso rosicchiato. Nello stesso mobile furono trovate delle fotografie dagherrotipiche (si dirà così?) e lastre ad impressione di vario tipo. Quando acquistai il tutto il venditore non seppe fornirmi informazioni più precise. Mi disse, però, di aver acquistato l’intero carico, che comprendeva altri dodici lotti, da un mercante straniero ma anche che probabilmente il ritrovamento era avvenuto in un paese estero nonostante quella frase in italiano ne suggerisse una provenienza connazionale. 

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Seduto allo scrittoio esaminando il diario che dopo esser riuscito in qualche modo e con molto del mio a rivelarne gli scritti nascosti dietro le macchie decido di non trovare più di alcun interesse riponendolo in un cassetto lo chiudo a chiave decido che mi dedicherò, invece, a riscrivere la nostra storia a mia fantasia pur prendendo spunto dalle foto di prima e forte del suggerimento di Ghirri. Quindi osservando le montagne appena dietro i palazzi della finestra della mia camera da letto, mi rendo conto mentre sorseggio il primo caffè della mia giornata che si trascinerà come sempre tra congetture e teoremi senza alcun fondamento, che la loro disposizione a strati sovrapposti con toni d'intensità decrescente suggerisce varie cosette che, però non starò elencare qui e adesso dato che anche chi avesse le necessarie competenze in materia di prospettiva e fisica avrebbe, comunque, bisogno di molte informazioni e ben dettagliate per capire il senso del mio stupore. Semmai dipanerò il mio pensiero a questo riguardo, più in là. 

Per il momento mi limito a prendere appunti: 

UN SIGNORE mai visto prima MANGIANDO UN CONO GELATO S’ACCORGE DEL DOPPIO SOLE… IL SOLE E LA LUNA DIMENSIONI > BIBBIA, VANGELI, MARDIN, POCHE CENTINAIA DI ANNI > RIPROGRAMMAZIONE-RIPOPOLAZIONE > TOROIDE - TEORIA DELLE STRINGHE FOGLIO DAL DIARIO 

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BIAGIO 

Da che mi sono risvegliato dallo stato sonnolenza, dal limbo in cui ero piombato, tante sono le cose accadute nella mia vita in pochi giorni. Tante che non starò qui a dirvi. La più significativa, però, è senz'altro la ricomparsa di Biagio. Avevamo, ed abbiamo ancora, tante cose da dirci ma fino ad oggi è stato lui l'unico a parlare mentre io l'ascolto. È sempre stato così fra noi due. È sempre stato un gran chiacchierone ed è difficile inserirsi nei suoi monologhi che, per quanto interessanti (perché essendo una persona arguta, le cose di cui parla e il modo di esporre lo sono veramente) sempre di monologhi si tratta. È stato lui a introdurmi alle note di Ghirri, per esempio, e quindi anche a fornirmi il materiale su cui sto provando a sviluppare questo libro e questo sarebbe già abbastanza da ripagare ascoltandolo, dato che, da che ho accettato la proposta dell'editore di scrivere sull'adattamento, ho come si suol dire brancolato nel buio cosmico del mio studio (anche se forse la frase non è proprio così). Come se non bastasse, nei prossimi giorni e settimane il caro Biagio continuerà a venirmi in soccorso con altri preziosi impulsi vitali e interessantissimi ritrovamenti e intuizioni delle sue, strappandomi al torpore della mia ormai cronicamente spenta immaginazione. Ben venga, dunque, il sottile senso di frustrazione nel non riuscire a compendiare la sua invidiabile loquela. Qualora la si avverta è comunque ben piccolo dazio da pagare, veramente. 

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Ha acquistato il resto dei lotti dal mercante. Non tutti ma quelli che comprendevano gli altri manoscritti che s'è subito messo a trascrivere per sua curiosità ma anche per venirmi in soccorso. Ogni mattina si presenta col cornetto caldo e almeno una nuova storia su cui ha lavorato nottetempo per ricomporre e trascrivere. Lo fa per me e la nostra esamillenaria amicizia inossidabile, ma stavolta s'è scelto un compito per nulla facile. A quell'uomo tremava la mano e doveva avere anche dei disturbi di concentrazione che lo portavano a divagare passando da un argomento all'altro per diverse pagine prima di tornare a concludere un pensiero e spesso cedeva al richiamo del ghirigoro che poteva anche ridursi a un lo scarabocchio nevrotico o più spesso a una serie di figure geometriche sovrapposte le une alle altre in un modo che lasciava intravedere un certo intento progettuale. Si faceva molta fatica di cui, però, si veniva compensati dalla scoperta di piccoli racconti stranamente affascinanti che forse dovevano essere letti in un unicum. I diari di Biagio, comunque erano in condizioni decisamente migliori di quelli in mio possesso. Non vi erano troppe macchie ed erano abbastanza integri nel loro complesso. Ve n'era uno, il mio preferito, che trattava giusto dei colori e di come riuscire a distinguerli in bianco e nero. Questo era anche l'argomento che da alcune settimane cercavo di sviluppare, o meglio cercavo il modo giusto per affrontare, nella stesura del mio saggio. 

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E finalmente giunse il giorno in cui, avendo Biagio esaurito gli argomenti su cui rendicontare, e non avendo io alcun residuo di desidero di farlo partecipe dei miei trascorsi recenti, potemmo iniziare a conversare del più e del meno come fanno due buoni amici che si frequentano anche per affinità di interessi di ricerca. Ebbe inizio un periodo per me molto proficuo di conversazioni assidue e costruttive.  


CONVERSAZIONE I 

Una mattina, attorno al tavolo coperto de carte, libri e tre cornetti ancora caldi. 

- “Intendiamoci, non è per nulla un grande scrittore come dici te, Dario, però è divertente, quello si. Avvincente, anche. L'altra notte non riuscivo a fermarmi per la curiosità di leggere la pagina successiva! Mi fa anche molto ridere...” 
- “Biagio, non ho mai detto che sia un grande scrittore, anzi penso piuttosto il contrario, ma soltanto che m'intriga molto il personaggio... ci sarebbe da scrivere una biografia...” 
- “E si anche a me. Non riesco a figurarmelo. C'è un brano in cui si descrive davanti allo specchio. Ha una vestaglia rosa con motivi floreali, bordata di merletto di raso o qualcosa del genere. Gli occhiali con la montatura di tartaruga ricucita con fil di ferro e una lente incrinata. La calvizie lo tormenta e lui la contrasta con un ciuffo più lungo che ferma con una molletta..” 
- “Un riporto? Ahahah...” 
- “Si, e pure tanta forfora che gli si ammucchia sulla montatura e sulle ciglia... è un personaggio!” 
- “E che fa nella vita?” 
- “Ci ho pensato tanto ma non riesco a metterlo a fuoco!” 
- “Niente di strano se fosse un impiegatuncolo” 
- “È la prima cosa che m'è venuta in mente ma... sarebbe troppo un classico, dai..” 
- “Bé ma le cose più ovvie, come sai, quasi sempre sono anche la soluzione corretta dei misteri più impenetrabili, no?” 
- “Quello è pure vero.” 
- “Comunque un bel personaggio abbiamo trovato...” 
- “E già. Senti qua cosa dice: Se un giorno dovrò affrontarti ti mostrerò i miei muscoli e ne sarai impaurito. Ti mostrerò che non sono quelli di un omuncolo ma che sotto la mia veste giace dormiente un drago pronto a fare di te e di chiunque ti porterai dietro carne allo spiedo. E ti pentirai di non avermi più voluto amico. Ti mostrerò i miei muscoli e la mia fiamma. Solo se tu lo vorrai, però.” 
- “Con chi ce l'aveva?” 
- “Non so! Qui invece scrive della Sacra Sindone...” 
- “Sacra Sindone? Quella di Torino?” 
- “Si. Ti lascio tutto qui sul tavolino, devo andare, ci vediamo domani, Dario” 
- “Si grazie Biagio, a domani.” 
- “Mettiti a scrivere, altrimenti sto libro non lo finirai mai..” 
- “Hai ragione.” 
- “A domattina, allora. Spero che mi farai trovare qualcosa d'interessante da leggere.” 
- “Lo farò. Appena sarai uscito di qui mi ci butto a capofitto.” 
- Cioè ci proverò, ma districarmi tra i mille appunti sparsi dappertutto non sarà facile. In certi fatico persino a riconoscere la mia scrittura tanti sono e tanto velocemente buttati giù per lo più nel cuore della notte (l'unico momento in cui qualche idea continua a fare capolino tra i tronchi pietrificati della mia foresta personale). 

* * * 

Che noia, però, questa storia di dover sempre trovare un gancio per iniziare una storia. È mentalmente faticoso e praticamente superfluo poiché poi, alla fine, non è mai ciò che realmente conta. Convenzionalmente necessario, però. Dunque diciamo che, per mia comodità facciamo finta che chi leggerà veda coi miei occhi ciò che ho ordinatamente distribuito sul vetro dello scrittoio su cui scrivo. Come si vedrà si tratta di appunti su foglietti di colori diversi allineati lungo il contorno interno che è la base del cono di luce tenue della lampada. Lungo il bordo esterno, invece, ho sistemato libri, albi e libercoli da cui trarrò, quando necessario date, luoghi, nomi. Le fonti storiche, insomma. Al centro del ripiano due mucchi di fogli A4. Vuoti. I 15 watt del piccolo mappamondo sono appena percepibili in fondo all’universo del mio studio imperscrutabilmente buio. Diciamo che sarà la mia stella polare. 

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Primo appunto 

Una nota a piè di pagina recita “Luigi Ghirri > Daguerre - fotina.” 

Il primo appunto si riferisce ad uno scatto della prima metà dell’800 sotto cui è riportata un’annotazione di Luigi Ghirri che i più troveranno triviale ma che in me, invece, ha acceso una lampadina, e neppure troppo flebile. Ghirri trova curiosa la presenza d’un omino sperduto in un angolo d’un paesaggio urbano desolato e si spinge fino a sostenere che si tratti d’una messa-in-scena. E una messa-in-scena può anche darsi che lo sia realmente. 

Le prime fotografie erano sempre delle scene ben curate nei dettagli più minuti. Soprattutto nel caso dei ritratti. D'altra parte la fotografia mutua l'estetica, i codici compositivi direttamente dalla pittura. 


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Secondo appunto

LA SACRA SINDONE È UN AUTORITRATTO 

Sappiamo che è un'impressione fotografica di qualcuno in cui il lenzuolo funge da supporto in luogo della carta da stampa nitrata, baritata o politenata che arriveranno solo in tempi più recenti. Taluno asserisce si tratti del volto e del corpo del solito gonnipresente Leonardo da Vinci. Di sicuro, però, è un autoritratto o almeno di un ritratto. In bianco e nero. 

Dall'impressione a contatto della sindone mi piace pensare che il processo inverso l'abbia seguito per primo il Caravaggio un secolo più tardi, sapendo dell'esperimento di Leonardo, che forse all'epoca non era un segreto. È abbastanza ovvia la matrice fotografica che i suoi quadri non provano a nascondere come farebbe un pittore contemporaneo per ovvie ragioni. Caravaggio infatti viveva in un tempo in cui, esperimento di Leonardo a parte, la possibilità di imprimere nei più piccoli particolari su una superficie ciò di cui l'occhio godeva solo distrattamente senza apprezzarne l'importanza, era sconosciuta ai più. Certamente lo sarà stata alla moltitudine. Probabilmente anche al ristretto gruppo dei privilegiati fruitori dell'arte. La camera oscura dell'Alberti era null'altro che un astuto giocattolo ottico, uno dei tanti che i perditempo rinascimentali quei signorotti che per bontà dell'ignavia che li governava ci hanno loro malgrado regalato un teatro della memoria pinguo di sollecitazioni per l'intelletto oltre le più smodate ambizioni di Giulio Camillo. Anche di questo argomento, però tornerò a discernere più avanti (se me ne ricorderò e se ne avrò voglia e tempo. Spero di si) 

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