18 mar 2017

SHAKESPEARE VS CROLLALANZA. 2

E se il Bardo fosse una donna? Se dietro questo mito non si celasse né W. Shakespeare né Michel Agnolo Florio Crollalanza [vedi Ipotesi 1] ma la madre di quest’ultimo, la nobildonna Guglielma Crollalanza messinese di origini lombarde, anche lei, come il figlio, calvinista e, perciò, costretta a rifuggiarsi in Inghilterra? Dopotutto la traduzione inglese calza perfettamente a costei più ancora che al figlio. Guglielma-William (non esiste il nome al femminile in inglese) e Crollalanza-Shakespeare (crolla o scrolla= shake, lanza o lancia= speare). E poi… anche lei sembra che avesse “il vizio” di scrivere [fonte: Martino Juvara] e a quell’epoca, più ancora che oggi, alle donne non era concesso alcuno spazio in tanti ambiti, tra cui il teatro (ricordo che persino i personaggi femminili erano recitati da attori uomini vestiti da donna!).

L’idea – che potrebbe rivelarsi un’intuizione geniale – è di Barbara Marras. Ripropongo qui di seguito il suo interessantissimo commento che m’ha spinto ad aprire questa nuova discussione:


il 21 Novembre 2013 alle 14:04 Barbara Marras scrive:

PERCHÈ NON GUGLIELMA CROLLALANZA?!

È passato tanto tempo da questa discussione [leggi] – ma mi capita ora di buttarci un occhio e provare l’esigenza di inserirmi – senza essermi documentata sull’argomento, purtroppo. Tant’è: mi pare di sentire una vocina dire sì,sì,sì! E’ una vocina che di sicuro mi è molto cara ma che stento a riconoscere: Viola? Può essere? Viola figlia di un Sebastiano di Messalina che un naufragio scarica in Illiria? Una Illiria dove si ballano danze italiane, dove si usano nomi italiani! Questa meravigliosa, nobile orfana – attrice, poetessa e spirito stesso della commedia – ed il suo tragico gemello non dichiarano entrambi la loro origine messinese? E certo sono personaggi – ma io non ho mai conosciuto un personaggio di Shakespeare inconsapevole di essere tale e, fossimo al cinema, guarderebbero tutti in macchina. Però, tutti sti travestimenti! Crollalanza. E Perchè il figlio e non la madre? Difficile. Impossibile. Per le ragioni che ci spiega troppo bene Virginia Woolf. Oppure no? Certo alle donne era vietato recitare e la recitazione è tema costantemente al centro della scrittura shakespeariana (come la deprecazione del suddetto scellerato divieto) Però anche la lingua è continuamente accusata delle sue lacune! Ora la lingua le sue lacune ce le ha di per sè e, accidenti, non è la cosa, almeno quanto l’interpretazione non è il testo – ma se ci fosse un problema aggiuntivo? Se ci si mettesse pure la traduzione a complicare il tutto? Se le opere fossero nate da una collaborazione fra un figlio attore ed erudito ed una madre meraviglioso genio drammaturgico? E che si sa, comunque, di questa madre di cui Michelangelo usurperebbe od onorerebbe il nome? O magari lo adotterebbe in omaggio a lei, in suo ricordo: magari è già passata a miglior vita quando lui comincia a scrivere. Dove posso cercare informazioni su di lei?
Barbara Marras


il 22 Novembre 2013 alle 14:58 Manfredi Beninati risponde:

Cara Barbara, m’hai illuminato! Leggendo il tuo commento mi si è schiuso un universo davanti agli occhi sbarrati dallo stupore! Non saprei spiegartene il motivo ma questa tua ipotesi – che adesso mi pare ancora più plausibile di quella che avevo esposto in questa pagina – non mi aveva mai neppure sfiorato l’anticamera del cervello!! Ti ringrazio sinceramente di avere condiviso in queste pagine la tua intuizione che potrebbe, in un futuro speriamo non lontano, rivelarsi addirittura geniale. Mi permetto di utilizzare questo tuo commento come apertura d’una nuova scheda di approfondimento di cui più tardi allegherò il link. A prestissimo risentirti.
Manfredi Beninati


La discussione, quindi, è continuata così:


il 05 Dicembre 2013 alle 10:31 Barbara Marras scrive:

Grazie a lei! Sarei al settimo cielo se venisse fuori che Shakespeare fu una donna! Si ricorda di Lear? Che vorrebbe nascondere le lacrime, che chiama la sua emozione Hysterica passio e vorrebbe ricacciarla nel suo posto che è in basso? Si ricorda di Sebastiano, che a commuoversi rivede in sè la madre? Non so: per un verso la cosa è perfettamente giustificabile e tuttora il pudore non consente agli uomini determinati atteggiamenti. D'altra parte l'autore poteva anche evitare di mettere i suoi personaggi in determinate situazioni. Non ha talvolta la sensazione che una donna si nasconda dietro o dentro di essi? Ma, certo, il genio è androgino (Ah Virginia, Virginia! Certi geni sono talmente misogini, invece!). E poi: non trova che i personaggi femminili siano, il più delle volte, incommensurabili rispetto a quelli maschili? Scambierebbe Olivia cono Orsino? Io non darei un unghia di Ofelia per Amleto. E se Shakespeare la sacrifica per amore del teatro, non è lei l'eroina della tragedia? E lei, stellina, ce lo dice pure (ma questo scoop è mio che ci ho appena scritto una filastrocca): 'tis a the kings' daughter! Ma chi la sta a sentire Ofelia? Eppure è una matta! Vado a prendere il piccolo a scuola. Il mio è più un desiderio che un'intuizione - eppure il mio orecchio funziona benino, di solito! Forse le faccio perdere tempo. E grazie del tempo che perde.




il 05 Dicembre 2013 alle 13:06 Barbara Marras scrive:

Eccomi di nuovo: non intendo monopolizzare la discussione, ma vorrei sottoporle una questione che mi sta a cuore (prima non ne ho avuto il tempo). Shakespeare, che sia uomo o donna, è femminista in un modo che mi commuove: non fa che lamentare la condizione della donna, denunciare la violenza nei suoi confronti, l'ingiustizia che le impedisce di affermare se stessa in tutti i campi. Alcune scene sono scioccanti per la crudezza ed il realismo con cui sono rese - si pensi al rapporto fra Giulietta e suo padre, alla scena in cui lei tenta di esimersi dallo sposare Paride. Che dire del modo in cui Ofelia o Miranda sono soffocate dal concetto che gli uomini (specialmente i padri) hanno di loro? Che dire di Cleopatra? Nessun discorso altisonante in bocca ad un qualunque personaggio maschile dell'intera produzione shakespeariana vale una sillaba di lei - ma lei non è Cesare. Però è chiaro che chi scrive si prende le sue rivincite. O no? Gli uomini sono continuamente accusati di incostanza sentimentale, per esempio. Sì: Amleto rigira la frittata ma è un bugiardo patentato e le frittate le gira tutte, dalla primissima scena. Amleto ha i suoi fasulli motivi di essere misogino, sta di fatto che la tragedia del principe danese non è misogina per niente. Un'altra cosa, che non ha a che fare con ciò (ma che è un'ulteriore conferma della tesi messinese): Amleto è calvinista. Fino alla doppia predestinazione: che significato avrebbero altrimenti, sul piano religioso-morale, Rosencratz e Guildenstern? Perciò Wittemberg è Ginevra, perchè no? Se Vienna è Urbino! Ok. E' stato lei a darmi il dito. Io me ne sto zitta zitta a fare le pulizie - ma se mi capita mi prendo il braccio. E mi sento una madre snaturata, perciò adesso la pianto. Vorrei che Shakespeare fosse una donna, perchè sono stufa di farmi liberare dagli uomini, anche da quelli che lo fanno meglio, come Bulgakov o Flaubert. L'ho detto. Grazie di nuovo.




il 09 Dicembre 2013 alle 10:31 Archivio Flavio Beninati scrive:

Stupende dissertazioni! Quando ha tempo, la prego, ci contatti.

redazione@archivioflaviobeninati.com




il 07 Dicembre 2013 alle 12:19 A.O. scrive:

L'ipotesi di Shakespeare messinese, con tutto quello che comporta, l'ho sentita discutere anche in tesi di laurea. Debbo dire che le origini sono un racconto sempre appassionante perché sono un racconto. Come dire, io, personalmente, intanto sono felice che sia, chi sia è una narrazione e quella che leggo nel vostro sito è una gran bella narrazione. A.O.




il 14 Dicembre 2013 alle 12:39 Barbara Marras scrive:

Ulisse (di Cressida):

Fie, fie upon her!
There's language in her eye,
her cheek, her lip,
Nay, her foot speaks; her wanton spirits look out
At every joint and motive of her body.
O, these encounterers, so glib of tongue,
That give accosting welcome ere it comes,
And wide unclasp the tables of their thoughts
To every ticklish reader! set them down
For sluttish spoils of opportunity
And daughters of the game.

Sentito? Eccolo qui. Finalmente! Ulisse. Un Pandaro al contrario. Un Tersite nobilitato d'ipocrisia e menzogna. Un avvelenatore d'orecchi, portatore di squilibri, che sguazza nella tragedia. Tutto dispari, dall'alluce alla punta dei capelli, superbo e stizzoso. Quando parla lui tutti zitti e attenti. Ma quello che pensiamo, quando lui parla è: ok, Ulisse, tira fuori qualche metafora per gli ingenui, lasciaci mangiare la foglia, e ridacci Cressida. I greci vinceranno, pur essendo inferiori ai troiani. Ilio perderà definitivamente l'equilibrio e questo non basterà a far vincere gli avversari: ci vorrà il favore degli dei. Ma se gli dei si mettono dalla parte dei dispari è solo per fare da contrappeso a noi. Da che parte sta Shakespeare? Ci ha messi tutti a fare il tifo per la commedia solo per voltarla più efficacemente in tragedia?




il 15 Dicembre 2013 alle 05:30 Manfredi Beninati scrive:

TROILO E CRESSIDA - SCENA V - Il campo greco
{Entrano: Aiace, armato di tutto punto, Agamennone, Achille, Patroclo, Menelao, Ulisse, Nestore e altri}

(...)
Cressida: Bene, vuol dire che ti resto in debito, reclamalo quando verrà il suo tempo.
Ulisse: Quel tempo mai verrà; e così il tuo bacio.
Diomede: Signora, t’accompagno da tuo padre.
[Esce con Cressida]
Nestore: Una donna dai sensi molti svegli.
Ulisse: Oh, altroché! C’è in lei tutto un linguaggio:
il suo occhio, la sua guancia, il suo labbro,
sì, e perfino il suo piede, tutto parla;
gli spiriti lascivi
le si affacciano da ogni giuntura,
da ogni minimo moto del corpo.
Ah, queste civettuole,
belle, procaci, dalla lingua sciolta,
che t’abbordano con un bel saluto
prima che uno le abbia salutate
e che son sempre pronte a spalancare
le tavolette dei loro pensieri
al primo cui solletichi di leggerli
Mettetele in nota
come sudicie spoglie d’occasione
e figlie di quel gioco ch’è l’amore.
[Tromba all’interno]
Tutti: La tromba dei Troiani.
Agamennone: E laggiù viene avanti il lor drappello.
(...)




il 15 Dicembre 2013 alle 06:43 Manfredi Beninati scrive:

(...)Ma se gli dei si mettono dalla parte dei dispari è solo per fare da contrappeso a noi. Da che parte sta Shakespeare?(...) Se l'autore è un uomo (che sia quello di Stratford o quell'altro di Messina) allora direi che sta con gli achei e i loro dei.

Se, al contrario fosse una donna, magari proprio la nostra Guglielma Crollalanza, invece direi che parteggia per i troiani che, infatti, verranno espugnati, e le donne, si sa, per natura sono più propense a solidarizzare con i più deboli.

Molto cambierebbe il senso della sua intera opera, se si scoprisse, un giorno, che il Bardo non soltanto ha origini culturali lontane da quelle fin qui attribuitegli ma che a dargli voce ed anima sia stata una donna. Io sono, infatti, in grande disaccordo con coloro che chiudono, prima ancora di aprirla del tutto, la discussione sulla sua vera identità con un "dopotutto cosa importa chi sia realmente stato Shakespeare, dove sia nato e di che sesso fosse? L'importante è che sia esistito e che ci abbia lasciato la sua opera ..." o simili.

E poi nella vita tutte le nostre esperienze si basano sui contrasti: ciò che conoscevamo già contrapposto a ciò che abbiamo appena scoperto. Un colore che non avevamo mai notato prima e che adesso ci salta agli occhi per via d'un accostamento per noi inedito può cambiare le priorità nella nostra scala cromatica.

Ed in generale, maggiori sono le informazioni che si hanno sulle origini di qualsiasi cosa, inclusa un'opera d'arte, più accurata potrà essere la nostra valutazione e l'insegnamento che ne trarremo. Dunque se sapessimo che il Bardo è cresciuto nel cuore del mediterraneo allora i suoi richiami frequenti a quella cultura e quella natura assumerebbero un valore interpretativo aggiuntivo. Non sarebbero più percepiti come meri esotismi o fughe nella fantasia a la Salgari. Tutto d'un tratto avrebbero un sapore melanconico, per esempio. Nostalgia per un mondo ed una vita che non riavrà mai più e che celebra intimamente, senza darcelo a vedere, senza comunicarcelo in alcun modo. E, allora, tutto il resto assumerebbe, nel lettore colto, un ruolo di sostegno. Diventerebbe tutto il resto un cammino impervio che il nostro autore intraprende esclusivamente per giungere alfine, alla sua, privata, oasi di pace.

Se si trattasse poi d'una donna... beh, allora, ancor di più, bisognerebbe rileggerne tutta l'opera e mettere da parte tutta la critica che è andata, via via modificandone il senso, come è successo, ad esempio, anche nel caso della bibbia e delle sue tante versioni dovute all'impossibilità nostra di conoscerne gli autori.

(...)I greci vinceranno, pur essendo inferiori ai troiani.(...)ci vorrà il favore degli dei. Ma se gli dei si mettono dalla parte dei dispari è solo per fare da contrappeso a noi.(...)

Entrambe le fazioni in fondo non valgono un granché. Sono entrambe composte da gente gretta, stolta e per nulla edificante. Dunque non è ingiusto che se gli uni hanno dei sostenitori anche gli altri li abbiano. Poi... qualcuno dovrà pure vincere.

(...)Ci ha messi tutti a fare il tifo per la commedia solo per voltarla più efficacemente in tragedia?

Direi proprio di si!




il 15 Dicembre alle 2013 12:47 via Toledo scrive:

Vorrei segnalare alcuni autori italiani da cui Shakespeare ha attinto anche abbondantemente, per avvalorare l'ipotesi messinese. Non so quanto fossero conosciuti in Inghilterra ai tempi. Se lo erano vi prego di scusare la mia ignoranza.

Ludovico Ariosto,
Matteo Bandello,
Giovanni Boccaccio,
Luigi da Porto,
Giovanni Fiorentino,
Giambattista Giraldi Cinzio,
Gianfrancesco Straparola,
Polidoro Virgili




il 16 Dicembre 2013 alle 12:43 Barbara Marras scrive:

Che fa: mi provoca? Troilo e Cressida è una tragicommedia. La guerra è, appunto, tra tragedia e commedia ma, al punto in cui siamo, entrambe le fazioni sono infiacchite. La tragedia contiene la commedia e viceversa, come sempre, inevitabilmente. Ma con qualcosa di degenere e degenerante che mi sembra molto più evidente sul fronte della tragedia. Naturalmente, entrambe le fazioni sono sostenute da valori illusori e solo in quanto donna tendo ad attribuire ai valori sottesi alla tragedia un sovrappiù di negatività che forse Shakespeare non intende. D'altra parte i personaggi ibridi (Aiace e Patroclo) non sono connotati positivamente. Ulisse è lo spirito della tragedia, il motore dell'azione proprio in quanto responsabile degli squilibri all'interno del suo campo (con Tersite, che abbandona Aiace per mettersi tra Achille e Patroclo rendendo, in entrambi i casi, dispari ciò che era pari). Ulisse è il testo del teatro di Agamennone: stabilisce relazioni e significati (ma Ulisse stesso dice:"che ha mai fatto Cressida, da macchiare le nostre madri?"). Non è colpa di Ulisse se non l'amo e se invece amo Cressida che è tutta pari, o pari o niente. Si disvia, la fanciulla, una volta entrata nell'accampamento greco: ma non perde la leggerezza e non tradisce se stessa con Troilo. Perchè la commedia è il regno in cui il cuore s'inganna a mezzo degli occhi tanto quanto la tragedia è il luogo in cui la mente è ottenebrata dall'inganno dell'orecchio. Che avrà scritto Cressida in quella sua lettera che Troilo straccia? Il fatto è che Troilo è ormai già diventato il nuovo eroe tragico, com'era suo destino. E l'intreccio amoroso non pertiene alla tragedia (almeno secondo Amleto). Shakespeare non sta proprio dalla parte di nessuno: sta solo cercando una soluzione ai suoi problemi che sono, come sempre, unicamente legati al teatro ed alla scrittura dei drammi. Sta solo mostrandoci la soluzione cui è pervenuto per il momento. Signore! In tutto ciò ho dimenticato di dire, almeno 5 o 6 volte: secondo me, a parer mio, nella mia modesta opinione. Fate conto che abbia fatto altrimenti.




il 16 Dicembre 2013 alle 13:19 Barbara Marras scrive:

Tante banalità e tutte insieme. Solo perchè avevo un po' di tempo. In realtà volevo proporre un punto di vista molto più fazioso, per niente sostenuto dal testo e che però mi tenta. Lo farò appena possibile.




il 16 Dicembre 2013 alle 14:44 Manfredi Beninati scrive:

Non vedo l'ora.




il 21 Dicembre 2013 alle 10:15 Herald scrive:

Breve ricerca sulle origini del cognome Crollalanza ed ecco qualcosa che vi può aiutare nella ricerca della verità:

CROLLALANZA (araldica) - Pregiasi questa nobile ed antica famiglia, derivare da Giovanni Alboino milanese, il quale nel 1147 seguendo Corrado III alla seconda crociata pel suo gran valore mostrato nei tornei e in guerra fu cognominato di Crolla-lancia. Col volgere degli anni si sparse in varie città, come Piuro, Piacenza, Genova, Gratz nella Stiria, Palermo, e Termini. Da quella di Chiavenna deriva il vivente cavaliere Giambattista Crollalanza, letterato, istorico, araldista insigne, autore di molte dotte e pregiate opere, non che fondatore dell'accademia Araldica Italiana, oggi residente in Pisa. Arma: il ramo di Sicilia diviso; nel 1° d'oro, con un leone passante di rosso, portante in ispalla un'asta di nero sormontata dalla lancia d'argento; nel 2° d'argento; con tre bande ondate di rosso. Elmo di nobile.

Stessa ricerca fatta su Shakespeare e nessun risultato. Di quel cognome non esistono tracce prima del poeta e drammaturgo. Buon lavoro




il 21 Dicembre 2013 alle 11:02 Manfredi Beninati scrive:

Grazie per il contributo. L'avevo già fatta io stesso una ricerca simile ottenendo gli stessi risultati ma.. non avevo pensato di inserirlo nella discussione. Cosa che, invece, può tornremolto utile. Ti quoto anche nell'altra discussione (qui). Mi potresti segnalare la fonte?




il 27 Dicembre 2013 alle 17:58 Barbara Marras scrive:

E' passato un po' di tempo e io ho perso il filo. Ho un vago ricordo di quello che avrei voluto dire. Provo a ricostruire ma mi mi vengono in mente solo banalità e forse erano tali dall'inizio. Dove eravamo rimasti? Ah, sì: Troia, la trama cortese, la scena della commedia, si rivolta in tragedia. I greci (la tragedia classica) vincono solo in apparenza: cedono lo scettro a Troilo. E Shakespeare se ne sta lì a mostrarci il meccanismo, del tutto imparziale. Teoricamente. E questa l'impressione che dà? Non saprei. Per la verità a me tanto imparziale non sembra. Come dicevo sopra, un giudizio c'è che a me sembra negativo, sui valori che connotano i personaggi maschili su entrambi i fronti (variamente declinati): potere, onore, fama, forza, orgoglio, ambizione, gloria, piacere ecc. Sono i moventi della guerra e dell'azione drammatica e sono illusioni. I personaggi femminili sono collocati entro il quadro in quanto oggetto delle tensioni, pegni, prefiguratrici, testimoni e vittime della sciagura. Non ci sarebbe neanche bisogno di essere profetesse per sapere cosa succederà, basta conoscere l'animo degli uomini. Cassandra non viene ascoltata e non viene ascoltata Andromaca: i personaggi femminili non vengono mai ascoltati da quelli maschili. Però parlano e il pubblico li sente. Si trovano spesso a rivelare la vanità e la fallacia del sistema di valori dei loro antagonisti. Si trovano sempre a subirne le conseguenze. La donna è tanto più tragica dell'uomo in quanto la tragedia la subisce non essendo essa (tranne rari casi) nella sua natura. Ofelia vorrebbe solo sposare il suo mesto principe. Gertrude vorrebbe solo godersi la vita senza tanti sensi di colpa. Desdemona vivrebbe una vita avventurosa e si soffierebbe il nasino lentigginoso col suo prezioso fazzoletto ecc. ecc. E non ci sarebbe proprio nulla di male. Perché, del resto, la commedia è liberazione. Vi è consentito quasi tutto e quasi mai vi è un giudizio se non bonario, indulgente. E nella commedia, diversamente che nella tragedia e nella vita reale (tanto più in quella del XVII secolo), la donna è protagonista e signora indiscussa. Se Shakespeare fosse una donna direi che un po' di polemica la fa, tutto sommato. Però che altro volessi dire non me lo ricordo più. Sorry.




il 09 Gennaio 2014 alle 18:33 Barbara Marras scrive:

qualcuno, passando di qua, avrebbe dovuto rimproverarmi di aver sottaciuto la rivalità tra Elena e Cressida. La mia eroina, per niente aliena alla vanità, vuole sapersi degna di una guerra, vuole vendetta per il trattamento subito, trasforma il pegno d'amore, ormai privo di significato, in trofeo dei nemici ad umiliare l'ex amante, insomma fa la sua parte nel campo della tragedia senza per nulla disattendere le premesse della commedia. Il che risponde a necessità di equilibrio del dramma, veicola una volta di più l'umorismo di chi scrive e suscita in me soddisfazione. Il che, inoltre, non getta discredito né aggiunge pregio alla donna in generale. Passando di qua, qualcuno avrebbe dovuto dirmi chiaro e tondo che questi sono tutti pretesti faziosi e che infinitamente più numerosi e pertinenti sono gli esempi che si potrebbero portare a favore della tesi accreditata. Però non passa nessuno e il tentativo di mutare ottica mi diventa noioso. Tanto più che anch'io, lo confesso, ritengo - come il resto del mondo - che Shakespeare fosse un uomo, quasi certamente omosessuale. E tanto più che anch'io ritengo che il sesso e la sessualità dell'autore, quand'anche fossero certamente stabiliti, non getterebbero nessuna particolare luce sui testi. I testi stanno per se stessi, dipendendo semmai dall'orecchio che ascolta e non dalla bocca che dice. Poco cambierebbe nella nostra percezione dell'opera di Shakespeare se sapessimo che l'autore fu una donna. Ma tutto cambierebbe per le donne. Perciò, se qualcuno passasse di qua, potrebbe incaricarsi di suscitare in me dubbi meglio fondati e io mi metterei al lavoro, subito e con gioia, per nutrirli entro me stessa meglio che posso.





il 22 Dicembre 2015 alle 12:15 Gianni Locchi scrive:

Ormai c'é poco da commentare, dato che anche gli inglesi, secondo quanto riferisce Gianni Pedone, si sono rassegnati all'idea. Dieci anni fa lessi un articolo del Times che convalidava l'ipotesi ma che infine concludeva che "Ma ha scritto in inglese ed é quello che conta". Io abito a Bruxelles e ne ho tratto lo spunto per scrivere una commedia in francese "La vraie vie de William Shakespeare" 'andata in scena in Belgio nel 2007//8, (Bruxelles, Lovanio, Liegi), che tradotta in italiano é stata recitata a Livorno e provincia da un'ottima compagnia di attori condotta da Alessandro Baldi. Nella mia commedia invecchio William facendolo nascere intorno al 1560. M'é bastato questo per spazzar via tutta una serie di dubbi, problemi e forzature interpretative del comportamento di Shakespeare durante la sua vita come quella di sposare una donna più anziana, che in realtà era sua coetanea, oppure di entrare a far parte di una compagnia di attori itineranti, ch'é stato per lui il modo d'imparare presto la lingua del posto. I progressi sono stati clamorosi, concretatisi nelle tragedie storiche che gli hanno servito per familiarizzarsi con l'ambiente culturale nel quale intendeva inserirsi. A questo proposito colpisce la differenza di stile fra queste prime opere, pesanti e quasi discorsive e lo slancio poetico delle susseguenti commedie, a cominciare proprio dala sua prima vera commedia,"Much adoo about nothing", che, guarda caso, si svolge proprio a Messina. A Messina c'era nato ma non ci aveva vissuto perché i Florio erano dovuti fuggire dalla bigotta Sicilia, per rifugiarsi prima nel Veneto e infine in Inghilterra, dove già abitavano molti parenti. Peraltro, se é evidente che William Shakespeare é nato in Italia, ha ragione il Times a scrivere "Ma ha scritto in inglese", rivendicando indirettamente una cultura anglofona libera da pregiudizi e vincoli culturali.





il 22 Dicembre 2015 alle 13:54 Gianni Locchi scrive:

Mi si conceda una piccola correzione. "Much adoo" é una delle ultime commedie, avevo l'impressione che fosse la prima per via della battuta finale nella quale, primo ed unico in tutta la letteratura inglese, Shakespeare usa il termine "cornuto secondo l'accezione più corrente in Italia e in Sicilia: "Prince, you are sad: get you a wife; get you a wife. There is no staff more reverend than one tipped with horn", normalmente tradotto con "Principe, siete triste: prendete moglie, prendete moglie! Non c'é bastone più nobile di quello che ha del corno in cima", ma che si può tradurre con "Non c'é uomo più nobile di quello che ha delle corna in testa".




il 15 Luglio 2016 alle 11:47 Rudy scrive:

Interessanti queste ipotesi anche se io credo che la "nota femminile" derivi più probabilmente dal fatto che la moglie di William collaborò alla stesura di alcune opere. Per uscire dal terreno del plausibile, del probabile e delle analisi letterarie un mezzo per conoscere la verità ci sarebbe, anche se dubito che gli inglesi siano disposti a correre un rischio del genere: il DNA eventualmente ancora integro di William, diteci s'era maschio e confrontatelo con quello del padre e della madre italiani, siano confermate o smentite per sempre queste ipotesi, e fiorisca la verità.




Fonte: Archivio Flavio Beninati



Nessun commento:

Posta un commento